Protezione per i figli dei combattenti stranieri

Nella sola Siria, vivono quasi 29 000 bambini figli di combattenti stranieri. Questi bimbi sono respinti dalla loro comunità e dallo Stato. L’UNICEF si appella a tutte le parti in causa affinché i loro diritti siano rispettati conformemente alla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.

Syria 2019
Un campo provvisorio nella provincia siriana di Idlib.

© UNICEF/UN0237660/Watad

In Siria, Iraq e altre regioni di conflitto, vivono migliaia di bambini figli di combattenti stranieri, spesso in campi profughi, prigioni o istituti. Sono tra i minori più a rischio e sovente crescono in condizioni difficilissime. Molti non hanno alcuna persona di riferimento.

«Questi bambini vengono respinti due volte», ha spiegato Henrietta Fore, Direttrice generale dell’UNICEF. «Sono stigmatizzati dalle comunità in cui vivono e rifiutati dai governi. Per loro, l’accesso ai servizi di base o il rimpatrio comporta importanti sfide giuridiche, logistiche e politiche.»

L’UNICEF stima che nella sola Siria questi bimbi siano quasi 29 000, la maggior parte ha meno di dodici anni. Circa 20 000 provengono dall’Iraq, gli altri da sessanta diversi paesi.

«Ogni paese ha il diritto di proteggere i propri interessi nel quadro della sicurezza nazionale», spiega Henrietta Fore. «L’UNICEF chiede a tutti gli Stati firmatari della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia di rispettare gli impegni assunti e di proteggere i minori di diciotto anni.»

Nello specifico,

  • i bambini hanno il diritto di ricevere un documento d’identità valido del loro paese o di quello dei genitori;
  • va assolutamente evitato che questi bambini restino o diventino apolidi;
  • occorre favorire un ritorno sicuro, dignitoso e volontario nel paese d’origine e il reinserimento nella comunità;
  • un arresto va considerato come ultima opzione e deve durare il minor tempo possibile;
  • i giovani perseguibili e accusati di reati devono beneficiare di standard internazionali in materia di diritto minorile e di procedure eque.

L’UNICEF collabora con numerosi partner e governi per coordinare l’accompagnamento di questi bambini. Solo una piccolissima parte di loro ha già potuto essere rimpatriata.