I minorenni sfruttati e costretti a svolgere lavori pericolosi hanno raggiunto i 160 milioni, un incremento di 8 milioni negli ultimi quattro anni. Le dodici storie personali seguenti mostrano la realtà del lavoro minorile. Vi presentiamo inoltre gli ultimi sviluppi sul tema e le risposte alle principali domande.
C’è lavoro e lavoro
Non c’è niente di male se i bambini aiutano i genitori nei campi, al mercato o in un commercio, anzi assumersi determinate responsabilità può giovare allo sviluppo. Le attività svolte devono tuttavia essere commisurate all’età e non devono esporre a pericoli né sfociare nello sfruttamento: se pregiudicano lo sviluppo fisico o mentale e l’istruzione, si tratta infatti di lavoro minorile, una violazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.
Ripercussioni del Covid-19 sul lavoro minorile
La pandemia ha incrementato sensibilmente il rischio di lavoro minorile. Ciò è riconducibile in particolare al forte aumento della povertà, che può accentuare la dipendenza delle famiglie dal reddito dei figli, e alle chiusure delle scuole, che solitamente rappresentano l’unica alternativa al lavoro.
Se non si adottano misure volte a contenerla, la crisi legata al Covid-19 minaccia di annullare i progressi compiuti nel mondo nella lotta al lavoro minorile. Da nuove analisi emerge che, da qui a fine 2022, la pandemia potrebbe accrescere di altri 8,9 milioni il numero di bambini costretti a lavorare, negli scenari peggiori addirittura di 46 milioni.
La scuola è imprescindibile
Nel mondo, circa un terzo dei bambini lavoratori non frequenta la scuola, mentre milioni vanno sì a lezione, ma devono lavorare duramente nel tempo restante. Questo doppio carico è spesso insopportabile: molti interrompono gli studi o non riescono a stare al passo con gli altri allievi, il che riduce le loro possibilità di un futuro migliore e di una retribuzione equa.
A causa della chiusura delle scuole in risposta alla pandemia, milioni di bambini non hanno più potuto seguire le lezioni. Molti non possono tornare dietro ai banchi neppure dopo la riapertura.
La povertà quale fattore principale
La povertà è la causa principale del lavoro minorile. Molti genitori spesso non hanno altra scelta se non mandare i figli a lavorare nelle piantagioni, nelle discariche, nelle fabbriche e nelle miniere affinché contribuiscano al mantenimento della famiglia: è spesso una questione di mera sopravvivenza che fa passare in secondo piano l’istruzione. Finché ci sarà povertà, il lavoro minorile non cesserà di esistere.
In cifre assolute, il lavoro minorile è di nuovo in aumento
Nel mondo, il lavoro minorile è stagnante dal 2016. Se la percentuale è rimasta invariata negli ultimi quattro anni (10 per cento), tuttavia, a livello di cifre assolute si riscontra un incremento di oltre otto milioni. Lo stesso vale per i bambini costretti a svolgere lavori pericolosi: la percentuale è rimasta più o meno invariata, il numero complessivo è cresciuto di 6,5 milioni.
Situazione drammatica nell’Africa subsahariana
Il lavoro minorile è diffuso in modo eterogeneo nel mondo: se tuttavia negli ultimi anni in Asia, America latina e nella regione del Pacifico è in calo, nell’Africa subsahariana sta nuovamente aumentando. Soprattutto nelle regioni colpite da conflitti, siccità o alluvioni, la miseria costringe i piccoli a rinunciare alle lezioni per lavorare. Il problema è in crescita soprattutto nella fascia d’età tra i cinque e gli undici anni.
Il settore agricolo il più colpito
Il 70 per cento dei bambini lavoratori è impiegato nell’agricoltura, nella pesca, nella selvicoltura o nell’allevamento, il 20 per cento circa nel settore dei servizi, per esempio come aiuti domestici, o nell’industria del sesso, il 10 per cento nel settore industriale, inclusa l’estrazione mineraria. Oltre due terzi sono tuttavia occupati in ambito familiare, ossia nei campi, con gli animali o nei commerci che appartengono alla loro famiglia. Non di rado, sgobbano più di dodici ore al giorno e non sono retribuiti.
Lotta al lavoro minorile
La protezione più efficace dal lavoro minorile è la lotta alla povertà. Dove imperversa la miseria, infatti, di regola attecchisce il lavoro minorile.
Un altro strumento essenziale sarebbe la registrazione sistematica delle nascite: non appena un bambino esiste ufficialmente, cala il rischio di sfruttamento.
Occorre inoltre stanziare più fondi per l’istruzione e garantire il ritorno a scuola dei bambini.
Infine, urgono condizioni di lavoro più dignitose per gli adulti, a cominciare da salari migliori. Solo chi guadagna abbastanza può nutrire la famiglia senza essere costretto a mandare a lavorare i figli.
Responsabilizzare le aziende
Oltre ai governi, il cui compito è applicare efficacemente le leggi per la protezione dei diritti dell’infanzia e contro il lavoro minorile, occorre coinvolgere le aziende, detentrici di un’enorme responsabilità sociale. In collaborazione con Save the Children e il Global Compact, l’UNICEF ha elaborato dieci principi guida volti ad accompagnare le imprese nel rispetto dei diritti dell’infanzia. Lo scopo è renderle attente su eventuali violazioni e conseguenze negative delle loro attività, nonché sulle misure da adottare, ad esempio condizioni lavorative eque o la tutela della salute di tutti i dipendenti.